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La parola universitaria è un libro che trae origine dalla crisi che attraversa l'istituzione universitaria, dominata da una retorica dell'eccellenza e da una logica aziendalistica che ne hanno snaturato le finalità universalistiche. Ma piuttosto che « difendere » un'idea astratta di università, Macherey preferisce soffermare la sua analisi sui « discorsi » che si sono tenuti su di essa, per misurare lo scarto che si è scavato tra una certa idea di università e la sua realtà in quanto cosa, immersa nei conflitti che attraversano tutte le istituzioni dedicate alla riproduzione sociale.
A parlare di essenza dell'università, con la convinzione di poterne delineare il senso e le finalità, sono sempre stati i filosofi, come Kant, Hegel e Heidegger su cui si sofferma la prima parte del libro. Diversa, invece, la prospettiva di quei discorsi che hanno fatto propri gli strumenti della psicanalisi (Lacan) e della sociologia (Bourdieu/Passeron), più attrezzati a cogliere la valenza delle pratiche universitarie in termini di potere e di differenziazione sociale.
Infine, attraverso l'analisi di alcune opere letterarie che ne hanno fatto un tema di narrazione (Rabelais, Hardy, Hesse, Nabokov), è possibile dare ai discorsi sull'università un banco di prova ampio e ricco di elementi, come lo sguardo che solo la grande letteratura riesce ad avere sul mondo. Se l'università, in quanto realtà storica, è soggetta a cambiamenti che possono metterne in pericolo la stessa esistenza, come sembra avvenire nella nostra contemporaneità, ripercorrere in maniera critica i momenti più significativi del dibattito intellettuale che essa ha suscitato è il presupposto per poter inventare nuove forme di università, senza la quale non esisterebbe quel patrimonio comune di conoscenze e di senso critico attraverso cui una società esiste e progredisce.