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Umberto Saba è uno scrittore, come diceva di sé, con « le radici nell'Ottocento » e « la testa nel Duemila », che non ripudiò mai il rapporto con una tradizione « alta » ma fu controcorrente rispetto a tante tendenze della prima metà del Novecento (decadentisti, ermetici, futuristi), rifiutando ogni culto dell'esteriorità per essere se stesso, anche nell'espressione. La sua voleva essere una poesia « onesta », pura, che rifiutava la falsità anche verso se stesso; « serena e disperata », un modo per riconoscere il dolore universale non solo in sé, ma in tutti gli uomini, negli animali, anche negli oggetti inanimati.
Era l'espressione della sua vita e delle sue angosce, accettate e cantate come un esorcismo, per sopravvivere e superare le contraddizioni, i contrasti del proprio animo e accedere a una visione totalizzante e "pacificata" dell'esistenza.