Negli anni dell'emigrazione parigina, la produzione poetica di Marina Cvetaeva si assottiglia progressivamente. Le incombenze giornaliere, la miseria, i trasferimenti, l'isolamento, le tensioni familiari, l'impossibilità di pubblicare: tutto questo la spinge a dedicarsi alle traduzioni, unica possibile fonte di sostentamento. La situazione precipita con il rientro in patria nel giugno 1939 fino al suicidio nel 1941.
Il volume raccoglie, a ottant'anni dalla morte, le poesie dei mesi conclusivi dell'emigrazione francese e quelli dei due anni trascorsi in Unione Sovietica. I versi emergono come iceberg dal grigiore della quotidianità, risvegliati da eventi storici o da ultimi amori, cui si accompagna il senso di una fine imminente. Un apparato di note ricostruisce attraverso le voci dei contemporanei e di Cvetaeva stessa le vicende che fanno da sfondo al tragico epilogo della produzione della poetessa.
Negli anni dell'emigrazione parigina, la produzione poetica di Marina Cvetaeva si assottiglia progressivamente. Le incombenze giornaliere, la miseria, i trasferimenti, l'isolamento, le tensioni familiari, l'impossibilità di pubblicare: tutto questo la spinge a dedicarsi alle traduzioni, unica possibile fonte di sostentamento. La situazione precipita con il rientro in patria nel giugno 1939 fino al suicidio nel 1941.
Il volume raccoglie, a ottant'anni dalla morte, le poesie dei mesi conclusivi dell'emigrazione francese e quelli dei due anni trascorsi in Unione Sovietica. I versi emergono come iceberg dal grigiore della quotidianità, risvegliati da eventi storici o da ultimi amori, cui si accompagna il senso di una fine imminente. Un apparato di note ricostruisce attraverso le voci dei contemporanei e di Cvetaeva stessa le vicende che fanno da sfondo al tragico epilogo della produzione della poetessa.