Secondo le mie forze e il mio giudizio. Chi decide sul fine vita. Morire nel mondo contemporaneo

Par : Chiara Lalli
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  • FormatePub
  • ISBN978-88-6576-373-5
  • EAN9788865763735
  • Date de parution26/06/2014
  • Protection num.Adobe DRM
  • Taille2 Mo
  • Infos supplémentairesepub
  • ÉditeurIl Saggiatore

Résumé

Siamo liberi di scegliere se e come curarci. Non esiste soluzione migliore di questa. Come potrebbe qualcun altro conoscere i nostri desideri, sapere qual è il nostro bene, decidere al posto nostro? Cosa succede quando, per motivi di salute, non siamo più in condizione di avere o esprimere un parere? Il perfezionamento delle tecnologie per la sopravvivenza solleva ogni giorno interrogativi morali e dilemmi clinici.
Nell'approccio a simili questioni spesso è prevalso un solido paternalismo: credere di essere nel giusto e sentirsi autorizzati a imporre le proprie convinzioni e decisioni a chi non è più in grado di opporsi. Per esempio, di fronte a malati privi di coscienza che, talvolta in modo irreversibile, necessitano di essere nutriti artificialmente mediante un sondino nasogastrico. O di cui sia stata dichiarata la morte cerebrale, in seguito alla completa devastazione del sistema nervoso centrale.
O affetti da dolore cronico che richiedano una qualche forma di sedazione. In tutti questi casi, il paradosso è sempre dietro l'angolo: strumenti nati per salvare o migliorare la nostra salute rischiano di ingabbiarci in vite che non avremmo voluto vivere, e un diritto fondamentale dell'uomo diviene così un dovere. L'unico rimedio alla trappola di un'esistenza imposta è l'esercizio della nostra libera e consapevole scelta.
È qui che intervengono le DAT, le direttive anticipate di trattamento, che prolungano quell'esercizio e fanno valere la nostra volontà anche in un futuro in cui potremmo non essere in grado di manifestarla. La riflessione di Chiara Lalli s'inserisce nel dibattito aperto in Italia e all'estero sulle decisioni di fine vita e sul cosiddetto living will, in passato già al centro di conflitti e oggetto di pessimi disegni di legge, soprattutto per l'impatto emotivo dei casi di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Terri Schiavo.
Lalli ricostruisce le premesse morali, giuridiche e deontologiche di uno strumento che dovrebbe essere il più leggero possibile e garante della nostra autodeterminazione. Il rischio che si torni a discuterne in Parlamento, ripercorrendo ancora la vecchia strada, oppressiva e ingiustificabile, è concreto. Nel territorio liminale tra coscienza e in coscienza, tra eutanasia attiva e passiva, bisogna salvare l'unica vera « volontà del vivente », perché il rispetto delle nostre scelte di oggi sia assicurato anche domani.
Siamo liberi di scegliere se e come curarci. Non esiste soluzione migliore di questa. Come potrebbe qualcun altro conoscere i nostri desideri, sapere qual è il nostro bene, decidere al posto nostro? Cosa succede quando, per motivi di salute, non siamo più in condizione di avere o esprimere un parere? Il perfezionamento delle tecnologie per la sopravvivenza solleva ogni giorno interrogativi morali e dilemmi clinici.
Nell'approccio a simili questioni spesso è prevalso un solido paternalismo: credere di essere nel giusto e sentirsi autorizzati a imporre le proprie convinzioni e decisioni a chi non è più in grado di opporsi. Per esempio, di fronte a malati privi di coscienza che, talvolta in modo irreversibile, necessitano di essere nutriti artificialmente mediante un sondino nasogastrico. O di cui sia stata dichiarata la morte cerebrale, in seguito alla completa devastazione del sistema nervoso centrale.
O affetti da dolore cronico che richiedano una qualche forma di sedazione. In tutti questi casi, il paradosso è sempre dietro l'angolo: strumenti nati per salvare o migliorare la nostra salute rischiano di ingabbiarci in vite che non avremmo voluto vivere, e un diritto fondamentale dell'uomo diviene così un dovere. L'unico rimedio alla trappola di un'esistenza imposta è l'esercizio della nostra libera e consapevole scelta.
È qui che intervengono le DAT, le direttive anticipate di trattamento, che prolungano quell'esercizio e fanno valere la nostra volontà anche in un futuro in cui potremmo non essere in grado di manifestarla. La riflessione di Chiara Lalli s'inserisce nel dibattito aperto in Italia e all'estero sulle decisioni di fine vita e sul cosiddetto living will, in passato già al centro di conflitti e oggetto di pessimi disegni di legge, soprattutto per l'impatto emotivo dei casi di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby, Terri Schiavo.
Lalli ricostruisce le premesse morali, giuridiche e deontologiche di uno strumento che dovrebbe essere il più leggero possibile e garante della nostra autodeterminazione. Il rischio che si torni a discuterne in Parlamento, ripercorrendo ancora la vecchia strada, oppressiva e ingiustificabile, è concreto. Nel territorio liminale tra coscienza e in coscienza, tra eutanasia attiva e passiva, bisogna salvare l'unica vera « volontà del vivente », perché il rispetto delle nostre scelte di oggi sia assicurato anche domani.
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