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In un famoso racconto poetico di Muriel Rukeyser, Edipo chiede alla Sfinge perché non abbia riconosciuto la propria madre nella donna che ha sposato. « Perché la tua risposta era sbagliata », gli dice la Sfinge. « Quando ti ho posto il quesito, che cosa cammina con quattro gambe al mattino, con due a mezzogiorno e con tre alla sera, tu hai risposto "l'uomo". Delle donne non facesti menzione ». « Ma quando si dice l'uomo si intendono anche le donne », protesta Edipo, « questo lo sanno tutti ».
« Questo lo pensi tu » gli risponde la Sfinge. Erica è una donna di quarant'anni che decide di lasciare il marito e i figli per ricominciare daccapo. Per due settimane ha creduto di avere poca vita davanti a sé a causa di una diagnosi sbagliata. Poi le hanno restituito un futuro, ma lo sguardo ingenuo di un tempo è perduto. Per i figli e per tenere in piedi la famiglia ha sacrificato ogni sua aspirazione, mentre il marito la tradiva.
Adesso si è come risvegliata e non riesce più a fingere: l'ipocrisia sulla quale si fondava la sua esistenza è finita. Bisogna ripartire da zero, ridando linfa ai desideri messi da parte dopo la nascita di due figli, e ricostruendo i rapporti all'insegna dell'autenticità. Ora nei suoi pensieri e nelle sue giornate si affacciano uomini, amiche, colleghi, e un padre da cui si era allontanata e con il quale potrà riscoprire la tenerezza e la memoria della madre che non c'è più.
Anche la sua città, Genova, la sorprende a ogni passo, mentre vaga ebbra della nuova libertà di cui dispone. Ma lasciare la casa dove dormono i propri figli è un atto lacerante per un genitore. Su una madre, poi, pesano secoli di pregiudizi. « Se questa donna fosse un uomo sarebbe solo un uomo che se ne va, un caso dell'universale », scrive Michela Tilli. « Ma quest'individuo è una donna, e quindi pensate di sapere molto di lei: l'universale si è già ristretto.
E non solo è una donna: è una madre. Una madre che se ne va: serve altro per emettere un giudizio di condanna? »